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L'intervista: Daniele Celona, la musica tra il mare e le isole

In occasione di Indiegeno Fest ho avuto modo di incontrare Daniele Celona, cantautore torinese dal cuore sardo e siciliano, e di parlare con lui di mare, di isole, di composizione e dei suoi progetti per i prossimi mesi.

Tu che ami tanto il mare, sei emozionato di suonare in un teatro come quello di Tindari, affacciato su questo panorama mozzafiato?

E’ sicuramente una delle location più suggestive in cui ci capiterà di suonare, e sì, il mare è uno dei miei elementi naturali. Essendo mezzo sardo e mezzo siciliano, non potrebbe essere diversamente, quindi sarà sicuramente bello suonare col mare dietro, dall’alto del Teatro Greco di Tindari.

Qual è il tuo concetto di isola?

L’isola chiaramente è un termine che utilizzo spesso come metafora. Avendo passato parte dell’infanzia in Sardegna conosco quello che è l’effetto di un “isolamento”, non solo fisico. Chiaramente, in Sardegna in particolare, per raggiungere il continente bisogna prendere un traghetto o un aereo e fare un numero notevole di ore di viaggio, ma il fatto della mancanza di infrastrutture o il fatto di essere un po’ tagliati fuori da un certo tipo di investimenti ti crea una scorza. Lo vedo anche nei miei amici di giù e quindi, come spesso capita per la provincia, nasce una sorta di senso di rivalsa, di voglia di emergere, di vincere quelle che erano delle limitazioni naturali, sopperendo a questo con le proprie capacità, con la propria voglia di emergere, anche solo per studio o per possibilità lavorative. Poi l’isola è quasi sempre un luogo magico dove, chi è scappato un tempo, tende poi a ritornare, considerando quella, alla fine, come la propria vera casa, e anche io conto di ritirarmi appena sarò vecchio, quindi tra un paio di mesi o tra qualche anno (ride n.d.r.), in Sardegna in tranquillità.

Qual è il luogo migliore o il momento migliore per scrivere una canzone?

Il mio momento più fecondo è intorno alle 18.30. Quello è l’orario in cui ritorno un po’ in vita e normalmente, se sono seduto al piano e ho una chitarra in braccio, qualche giretto o qualche frammento esce. Questo dipende anche dal tipo di vita che faccio. È chiaro che quando ero più misconosciuto di adesso avevo più tempo a disposizione, quindi la musica e la parte della scrittura facevano parte del quotidiano. Oggi mi è più difficile viverla come realtà normale della giornata. Bisogna ritagliarsi dei momenti in cui dedicarsi a quello. È un po’ più artificioso, è chiaro che mina la possibilità che esca materiale in maggior quantità, però occorre fare di necessità virtù e quindi ritagliarsi un tempo contingentato per avere la possibilità di scrivere.

C’è un brano che dal vivo ti dà più emozioni o ti crea un po’ di magone mentre lo canti?

C’è un brano, “Mille Colori”, che era il primo video uscito di “Fiori e Demoni”. In sala lo saltiamo durante le prove, mentre dal vivo spesso e volentieri crea un momento un po’ prezioso, in cui sento molto forte la risposta del pubblico, mentre io cerco di entrare dentro quel testo, che ormai è parecchio datato, ma che è un vestito che mi calza ancora bene addosso. È quello il momento in cui ogni tanto sento il magoncino che sale.

Cosa pensi della musica in tv?

Non c’è più. Penso questo, che non c’è neanche più a livello mainstream. Per quello che erano le classifiche settimanali, truccate o non truccate che fossero, comunque il sabato e la domenica dopo pranzo, in un momento televisivo molto importante, si proponeva della musica. Il fatto che la musica alternativa manchi completamente, come il fatto che anche in quel caso fosse tagliata per dare spazio ad artisti mainstream, è proprio un problema culturale, nel senso che si sta riducendo sempre più la proposta musicale e questo porta a sopravanzare la radio e a rendere quegli spazi così difficili da ottenere; ancora più cari e ancora più preziosi. Su questo aspetto almeno dovrebbe esserci un indietro tutta, un cercare di dare alla musica uno spazio. Tanto per dire, la mia idea molto semplice è che “Che tempo che fa” di Fazio, come faceva Letterman, ritagliasse gli ultimi minuti della trasmissione per proporre un artista. Su 365 giorni, togliendo le vacanze, giocoforza dopo un po’ si esaurirebbero tutti gli artisti più spinti dalle major e si dovrebbe dar spazio anche ad artisti emergenti. Questo potrebbe fare una piccola differenza.

A che progetti stai lavorando in questo periodo?

Sto cercando di scrivere ma, come ho detto in altre interviste, in realtà questo tour estivo non era previsto. Un po’ c’è cascato addosso, un po’ abbiamo deciso scientemente di farlo ma, una volta che da Torino devi fare delle date al sud, è chiaro che cerchi di collettarne quante più possibile, per giustificare la trasferta e starci dentro a livello economico; quindi queste due – tre settimane di giro stanno comunque togliendo spazio e tempo alla scrittura, che è quello di cui parlavamo prima, e quindi tornato a casa, anche se avrò ancora delle date a settembre e novembre, principalmente  dovrò stare in studio e dedicarmi alla scrittura e all’arrangiamento per il terzo disco.

Intervista a cura di Egle Taccia

Foto di Umbi Meschini
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